La casa
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXXII, fasc. 304, p. 3
Data: 22 dicembre 1957
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La casa è un aggregato di pietre d'inciampo. Quelli che dovrebbero abitarla l'hanno sconsacrata e la fuggono; molti di coloro che dovrebbero abbandonarla non sanno staccarsene. I custodi del focolare lo spengono; i chiamati al deserto s'indugian troppo sulle ceneri.
La casa non è fatta solo di pietre d'inciampo ma di pietre di paragone: è un problema, e de' più oscuri. Mette alla prova le nature degli uomini e le spartisce secondo le vocazioni. Di fronte a questa commissura di fango e di sasso cotto, che sembra un rifugio contro le tempeste e le curiosità e nulla più, la nostra specie va divisa in due: un esercito sterminato da una parte e una legione scarsa dall'altra. I Vincolati e i Chiamati: la gran progenitura di Marta e la rara figliolanza di Maria.
I primi, nati con facoltà comuni, devono scontare, generazione dietro generazione, la condanna divina: generar figlioli, far maturare il pane, distribuire e barattare i beni visibili, fabbricare palazzi, vascelli, macchine, arnesi. Agli altri, ai pochi, furon concessi doni straordinari di spirito e son operai della luce: luce di parole, di bellezza, di verità, d'amore eroico. Sono esentati dalle fatiche ordinarie della condanna perchè s'affaticano per ottenere la cancellazione d'ogni condanna.
I Vincolati dovrebbero, sempre, esser fedeli alle case illuminate dagli occhi di spose e di figlioli; i Chiamati debbon fuggirle, appena suona l'appello della Voce, anche se dovranno lasciare, tra la soglia e il battente, brani di cuore.
Questa legge vien sempre più trasgredita dagli uni e dagli altri. I primi, per un converger di colpe dove nessun uomo è innocente, si son visti mutare il focolare sacro in alloggio precario e fastidioso e lo disertano più spesso che possono, più tempo che possono; gli altri, per fiacchezza di sangue o tentazioni di bel colore non ascoltano sempre l'appello, e invece di ritrovar sè stessi e Dio nella libertà dell'aria e della solitudine s'indugiano fra le muraglie delle camere e delle città, framezzo a carte scritte, a ombre malsane, a creature sorde. Troppi figlioli di Marta diventano, senza necessità, nomadi; e non tutti i figlioli di Maria hanno la forza di abbandonare i capezzali tiepidi per quella pietra che bastò alla guancia del Figlio dell'Uomo. Ma chi fu assegnato a un servizio superiore non deve voltarsi addietro, e la casa, che gli fu riparo e gioia, può diventare, un giorno, ostacolo e prigione. Ai magnanimi ogni domicilio è un esilio. Di qualunque materia sia coperto il tetto ci divide dal cielo.
Il poeta non può nutrirsi con la polvere delle pareti, nè il filosofo colla muffa dei libri. L'usignolo non canta nelle voliere. L'ispirazione viene all'aperto, camminando sulle montagne e lungo il mare. Il mistico ha bisogno d'altezze e di silenzi; l'apostolo deve portare il suo messaggio di casa in casa ma senza averne una propria; il santo è l'errabondo, il pellegrino dei sepolcri, il guerriero delle foreste, il fondatore di edifizi dove non si fermerà, il cercatore irrequieto di fratelli da salvare, di schiavi da liberare, di spiriti da illuminare. Quando si ferma, il suo domicilio non è la casa spaziosa del filisteo ma la grotta del lupo, il cavo dell'albero, la colonna nel deserto.
Nei tempi favolosi la casa era proprietà della famiglia e il padre re della famiglia e sacerdote della casa. Ma oggi che le case son torracchioni di scatole soprammesse sotto il segno dell'Anonimato e del Provvisorio, occupati da mille ospiti volatici e sfrattabili, le città non son più raduni di santuari ma sinistri allineamenti di abbominazioni rettangolari.
Nella casa antica i vivi potevan vivere perchè prima di loro era stata dei morti: ogni stipite era una reliquia, ogni immagine un consiglio, ogni davanzale un ricordo di cieli e di fanciullezza. Era il tempio stabile dell'uomo e potevan visitarla gli Dei. Chi batteva all'uscio, anche se ignoto, era accolto come un dono: poteva essere un angelo o un santo sotto vesti di pellegrino. La casa aveva un solo padrone e perciò accoglieva tutti come ospiti.
Ora ci nascondiamo nei reparti sovrapposti dei gabbioni in cemento, gomito a gomito con spie estranee e moleste, condannati alle promiscuità dei rumori e dei fetori, paganti e passanti come nelle locande; unico ma illusivo conforto le fughe. La casa non è più, ormai, che un ricovero, un magazzino, un dormitorio. E gli uomini che non dovrebbero lasciarla la fuggono e corrono disperatamente verso paesi nuovi, verso letti stranieri, nelle taverne fastose, sulle città naviganti, per cercare quel che non sanno trovare nei reclusori d'affitto, nelle caserme appigionate.
Gli uomini, anche atei, fuggono i luoghi sconsacrati. La casa va perdendo i suoi vestigi religiosi: l'ultimo altare domestico, il focolare, è sparito dalle case di città, dove la famiglia non è più una monarchia temperata dall'amore ma una convivenza sopportata per forza. Ha perso il suo Dio e il suo re, e con loro la cordiale magia della vecchia santità. Ancora un tempo e sarà soltanto un nascondiglio.
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